Non si può parlare degli Adromischus senza fare una considerazione sul collezionismo di piante.
Appartengono alla grande famiglia delle crassulacee, provengono dal Namaqualand e dalla Namibia…. c’è un fascino già nel nome di queste terre che non sarà mai svelato ai miei occhi, sicuramente non in questa vita. Le piante che ho fra le mani sono originarie di luoghi che non vedrò…e sono arrivate fino a me. Allora è davvero piccolo il mondo!
Queste piante stupende, di bassa statura, grande succulenza di foglie, aspetto spelacchiato-ciccione in vecchiaia, mi raccontano l’Africa. Stanno bene anche al sole ma un leggero riparo nelle ore più calde le fa belle, ne deduco che vivano in anfratti di roccia, forse riuscendo anche a colonizzarne le crepe verticali. Mettono radici ad ogni foglia, che si stacchi dalla pianta madre o no. Pronte a non lasciarsi seccare dal sole senza mettercela tutta. In pieno sole rallentano la crescita e intensificano i colori rosso e ocra, all’ombra diventano verdi, elastiche ed adattabili come i più tenaci di noi. Se piove, l’acqua sparge i semi lontano, se non piove si riprodurrà senza spostarsi, tramite foglia, mentre i semi all’asciutto rimarranno dormienti aspettando un passaggio fino al prossimo temporale, anche per mesi.
Anche i colori e la picchiettatura delle foglie fanno sicuramente parte di un piano di mimetismo molto interessante. Vorrebbero vegetare d’inverno ma anche in serra occorre adattarsi come in natura, noi le teniamo asciutte da ottobre a marzo perché la poca luce dell’inverno padano ne rovinerebbe la crescita. Aspettano pazientemente marzo poi, dopo la prima annaffiatura, entrano in vegetazione e… ci perdonano.
Le concimiamo dopo la seconda bagnatura perché con l’asciutto invernale le radici capillari sono andate perdute, meglio aspettare che ricrescano. E’ bene usare concime povero di azoto in modo da non “ingrassarle” troppo e non pregiudicare la fioritura.
In alcuni testi si afferma che la fioritura “è insignificante”, non è così!!! I fiori necessitano di attenta osservazione, non sono grandi o coloratissimi, sono delicati, per veri osservatori.
Detestano i ristagni d’acqua, il terriccio deve essere drenante come per tutte le grasse.
Non presentano particolari fragilità, un buon terriccio e cure amorevoli le mantengono in salute. Naturalmente, conoscendo la provenienza, sappiamo che non tollerano il gelo.
Tutte le piante che coltiviamo NON SONO PRELEVATE IN NATURA.
Adromischus marianae
Adromischus marianae v.herrei
Adromischus maculatus
Adromischus cristatus v. clavifolius
Adromischus little sferoid
Adromischus cristatus
Adromischus marianae v. hallii
Adromischus filicaulis x sp
Adromischus marianae kiev
Adromischus SP16 KNM
Adromischus blesianus
Adromischus umbracticolus
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Kalanchoe, curanderos e sciamani la conoscono da sempre.
Le kalanchoe, altre piante del miracolo, ma quante sono?
I pubblicitari e i mass media usano continuamente le parole scioccante, miracolo, incredibile, per attirare la nostra attenzione, a me sembra che siano usate così a sproposito da aver perso ogni significato per cui voglio definire la kalanchoe “semplicemente” crassulacea anti cancro.
Ovviamente come preciso sempre, non sono un medico e non so quali siano le sostanze che portano alla guarigione. Se cerchi informazioni su questo ci sono fonti autorevoli, studiosi che lavorano per portare alla luce antichi metodi di cura dimenticati con l’avvento della medicina moderna.
Le kalanchoe provengono dal Madagascar e dall’africa, sono state portate dagli schiavi durante la colonizzazione americana. Si riproducono in modo esponenziale e questo ne fa cure a costo vicino allo zero per tutti. Nei paesi poveri l’uso è rimasto costante. In questo momento di grande crisi economica e di valori sappiamo che le cure sono costose e che i nostri sistemi sanitari vacillano. Come abbiamo sentito riguardo alle cura per l’epatite C, siamo in balia delle case farmaceutiche che sono SPA, non onesti ricercatori al servizio della gente. Le cure non sono più accessibili a tutti, è consolatorio sapere che ci sono vie d’uscita.
Le kalanchoe sono circa 125 specie più le cultivar a scopo decorativo.
Quelle oggetto di studio, tradizionalmente usate da sciamani e curanderos sono tre:
kalanchoe pinnata, daigremontiana e gastonis-bonnieri
Kalanchoe daegremontiana
La caratteristica di queste piante è la riproduzine esponenziale…come quella delle cellule tumorali nel nostro corpo. Il nome pare venga dal cinese Kalan-chow, crescita invadente.
Le piantine nuove si formano direttamente sulle foglie delle piante madri. Quando hanno raggiunto la dimensione giusta per diventare indipendenti, si staccano e, ovunque cadano mettono radici, anche sulla moquette di casa. Si possono riprodurre anche da foglia semplicemente staccandola e lasciandola appoggiata al terreno.
come si usano? chiedendo a medici e erboristi naturalmente!!
Hanno gusto un po’ amaro ma sopportabile. Devono essere mangiate crude, una porzione di foglia al giorno, da sola oppure insieme a un’insalata di verdure cotte che ne stemperi un poco l’amaro, oppure frullata insieme alla frutta.
E’ cicatrizzante per impacco, cura l’ipertensione i reumatismi la schizofrenia, gli attacchi di panico, evita lo shock anafilattico. Ovviamente io riporto queste notizie ma rimango sempre e solo la contadina che coltiva queste piante, senza pretese ulteriori. Ognuno il suo!
Viene chiamata la pianta di Ghoete perché, di tutto il mondo vegetale, era la sua preferita e piacere a un poeta non è cosa da poco.
In serra coltiviamo molte varietà di Kalanchoe, la beharensis che cresce fino a sei metri, tocca il telo e poi, un po’ delusa, si piega verso il basso. ha grandi foglie che in Africa vengono usate come porte-enfant. Un neonato ci sta comodo per quanto sono grandi e ci sta coccolato perché sono ricoperte da una peluria fitta con effetto morbido velluto. Una volta sporcate si gettano, non inquinano e non costano.
Kalanchoe beharensis
porte-enfant
la Kalanchoe humilis produce figli ben formati all’ascella delle foglie, si staccano, si interrano e in pochi giorni hanno già radici.
kalanchoe humilis
si stacca e si pianta…già fatto!!!
La synsepala invece produce nuove piante alla fine di un lungo stolone
kalanchoe synsepala
pianta perfettamente formata per la riproduzione
Le cultivar di blossfeldiana sono le più comuni nelle vetrine dei fiorai, hanno fiori di tutte le sfumature immaginabili, sono molto commerciali ma non per questo vanno sottovalutate. Un tocco di colore mette allegria, e anche questo è terapeutico.
Giusto per non perdere l’abitudine alla critica mi permetto di dire che la bellezza di questi fiori e la durata limitata a causa della coltivazione forzatissima olandese, sono un insulto al buon senso. C’è grande spreco di energia e di conseguenza tanto inquinamento dentro ogni vasetto ma… non è bello guastare la gioia della macchia di colore sul davanzale.
Kalanchoe blossfeldiana
La coltivazione è semplicissima, ricorda che per le piante che vuoi mangiare devi usare terriccio per biologico o terra di campo misto sabbia, concima solo con lupini o letame per biologico. Tenute a mezz’ombra crescono più in fretta. Tutte hanno bisogno di temperatura sopra lo zero.
Trovi le kalanchoe che produciamo nel nostro catalogo,
Rinvasare è il momento migliore per conoscere davvero la pianta per intero e mettere alla prova le nostre capacità di coltivatori
9 marzo, in ritardo su tutto e in tempo per tutto, dipende dall’angolazione dello sguardo.
Di norma rinvaso le piante che ne hanno necessità in pieno inverno. Quando finisce la smania del natale, dopo aver rimesso in scatola i nastri rossi, gli angioletti e la tela da pacco paiettatta per l’anno prossimo, possibilmente un momento prima che parta la malinconia….si comincia a rinvasare.
In serra, con i miei ritmi da bradipo, ne ho per tutto gennaio. Non importa essere agili e in forma per fare questo lavoro, è indispensabile solo la tranquillità. Trattandosi di cactacee occorre lasciare il nervosismo fuori dalla porta, giusto per non fare movimenti bruschi rischiando di lasciare qualche brandello di pelle qua e là.
Le piante si rinvasano quando:
c’è un evidente squilibrio di proporzioni vaso pianta,
se la pianta è troppo grande ed esce dal bordo del vaso impedendone l’annaffiatura,
quando è troppo alta o ramificata per rimanere in equilibrio,
quando il terriccio è diventato troppo compatto per permettere all’acqua di entrare e di sgrondare rapidamente,
quando è malata e dobbiamo disinfettarla,
quando è un nuovo acquisto e abbiamo bisogno di controllare lo stato delle radici e di mettere il nostro terriccio, per unificare il ritmo di annaffiature con le piante che abbiamo già.
bellissimo Ariocarpus lloyd
la radice è ancora più bella della parte aerea
Per la sopravvivenza hanno bisogno di poche cose, però teniamo presente che il rinvaso e il taleaggio sono due momenti a rischio.
Io rinvaso in inverno per essere certa che la pianta sia a riposo, asciutta da tanto tempo. Pulisco bene le radici dalla vecchia terra, taglio quelle che sono secche o rovinate e rinvaso subito mettendo la terra nuova, perfettamente asciutta.
L’ideale sarebbe lasciar cicatrizzare le ferite fuori terra ma occorre spazio per farlo e in serra non ce l’ho per cui rinvaso subito, la pianta avrà poi tempo di chiudere le ferite anche nel vaso visto che non sarà bagnata per più di un mese. Non ho mai avuto attacchi fungini con questo sistema, cosa che invece può accadere nei rinvasi estivi, quelli che si fanno per emergenza quando la pianta è in piena vegetazione.
Agave victoria regina in sofferenza
pulizia
nuova sistemazione
Le piante più spinose e più pesanti sono una vera sfida, sono programmate per essere inavvicinabili e il rinvaso richiede una concentrazione davvero zen.
Se siete nervosi…rimandate.
Le spine sono messe a difesa della pianta, al momento che deciderete di prenderla in mano sarete trattati come predatori, quindi uncinati, fiocinati e strappati, come tali.
Io non uso guanti per il rinvaso, non credo che ne esistano di adatti, qualcuno mi ha parlato di guanti da macellaio in maglina d’acciaio ma non voglio rompere le spine per cui uso carta e polistirolo.
Per le piante più leggere faccio una ciambella con la carta di giornale (certi quotidiani sembrano stampati appositamente per questo uso), con questa avvolgo e sollevo la parte spinosa riuscendo poi, tenendola “per il bavero”, a ripulire le radici e a posizionarla nel vaso giusto.
prendiamole per il bavero con una cravatta di carta
Sfilare le piante dai vasi di plastica è semplicissimo ma sono così brutti che cerchiamo di usarli il meno possibile.
Nel caso di vasi di coccio di solito si sacrifica il vaso. Una martellata bene assestata scarica i nervi e ci risparmia ore di manovre per sfilare radici che possono essere ben attaccate alle pareti del vaso.
un grusonii molto sofferente da rinvasare
carta e polistirolo per maneggiare la pianta che pesa come una grossa anguria
polistirolo, carta, un pezzo di legno per staccare il vaso
il vaso è sfilato
tolgo le radici danneggiate col segaccio
nel nuovo vaso è tutta un’altra cosa!!
La bellezza della pianta viene esaltata dal vaso giusto, dalla forma armoniosa e dalla nuance di colore che faccia risaltare qualche caratteristica, di fiore, di corpo, di spina.
Soggettiva è anche la scelta del terriccio. Non esiste un terriccio che trovi d’accordo tutti i coltivatori professionisti e tutti i collezionisti.
Chiedendo consigli vi accorgerete che tutti noi abbiamo la miscela giusta…secondo noi…e che sono tutte diverse!
I più precisi peseranno col bilancino tutti i vari intrugli provenienti da tutto il mondo e li misceleranno col cucchiaino da caffè. I più disordinati misceleranno un po’ e un po’ di quello che si saranno inventati raccogliendo materiale in natura.
Ogni pianta gradirebbe avere il substrato della zona da cui proviene, non perché lo abbia mai assaggiato (se siamo onesti non compriamo piante prelevate in natura) ma perché la sua famiglia si è specializzata nei secoli in quelle circostanze. Bisogna quindi studiare famiglia, origine, altitudine…. in realtà credo che accettino i nostri paciughi vari senza troppi problemi.
Non me ne vogliano i perfezionisti, sono piante specializzate in difficoltà! Noi in vivaio prepariamo due tipi di terriccio, per cactacee e per…le altre. Aggiusto poi correggendolo al momento, a sentimento, a seconda della pianta che ho in mano. Per le cactacee usiamo una parte di terriccio universale, pari quantità di inerte vulcanico in pezzature diverse e pari quantità di torba bionda. Per le Cassulacee e le grasse in generale aumentiamo la percentuale di terriccio e torba. Occorre terriccio universale ottimo, le super offerte non sempre danno risultati soddisfacenti nel tempo. Abbiamo scelto di non concimare al momento della preparazione del terriccio. Abbiamo visto che la concimazione contenuta nell’universale è sufficiente, abbondando si rischia di “gonfiare le piante” a discapito della loro robustezza e salute.
Naturalmente per chi non vuole o non può preparare di persona il terriccio si può trovarlo anche già pronto.
Va provato nel tempo perché non tutti rispondono alle caratteristiche di drenaggio e qualità indispensabili alle piante grasse. A volte è macinato come fondi di caffè e quindi praticamente impermeabile, ce ne accorgeremo quando le piante appassiranno per la sete (l’acqua si ferma in superficie). A volte è troppo concimato e gonfia le piante poi si esaurirà in pochi mesi.
Occorre sperimentare le varie marche o trovare un vivaista di fiducia che vi venda la sua mistura segretissima ma non illudetevi, non vi darà mai la ricetta esatta come non ve la darebbe un cuoco!!!
Parlerò di terricci esaminando a fondo i vari materiali in commercio nei prossimi articoli.
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aloe: PADRE ROMANO ZAGO LA DEFINI’ PIANTA DEL MIRACOLO e da allora la sua ricetta ha fatto il giro del mondo.
Amo il mio lavoro, coltivo piante grasse e officinali, tra le migliaia che conosco e riproduco c’è anche l’aloe, anzi molte varietà diverse di aloe. Ritengo importante che ognuno faccia il suo mestiere, al meglio e con onestà. Per questo non parlerò degli effetti dell’aloe che copierei di sana pianta dal libro di padre Zago o dalla tanta letteratura più o meno seria che c’è in giro.
Da coltivatrice vi raccomando di coltivarvi da soli le piante che mangerete oppure di comprare piante biologiche o da persone di fiducia. NON COMPRATE DA FIORISTI se non hanno la certificazione biologica, le normative sui trattamenti consentiti per le piante ornamentali sono diverse da quelle per piante commestibili. Per le ornamentali non ci sono tempi di sospensione per cui si possono vendere quando sono velenose di anticrittogamici e insetticidi e si possono usare prodotti davvero nocivi.
Le ho viste in vendita in un noto discount con il cartellino che sul fronte diceva “pianta medicinale” in italiano e, sul retro, scritto piccolo piccolo in tedesco diceva: pianta non commestibile. Il prezzo totale era inferiore a quanto io pago (all’ingrosso) quella quantità di terriccio per biologico, come l’avranno coltivata?
l’Aloe vera (barbadensis) e la arborescens sono considerate antitumorali, vengono usate in cosmetica o semplicemente, a crudo, si possono mettere sulle ustioni per evitare la formazione della vescica. Il nostro bergamino indiano ci insegnò che un’aloe piantata sul lato destro della porta d’ingresso impedisce alle disgrazie di entrare.
Possiamo immaginare in climi favorevoli le dimensioni fantastiche delle aloe in piena terra. Da noi occorre tenerle in vaso e ripararle ad almeno 3 o 4 gradi sopra lo zero. Forse è per le dimensioni ridotte delle piante che qualche volta le disgrazie passano.
Alla fine involontariamente mi è anche scappato di elencare qualche uso, nessun problema non ho svelato tutto, ce ne sono tanti altri da chiedere a medico ed erborista.
In serra coltiviamo molte varietà di aloe, la jacunda per esempio, adattissima per chi ha poco spazio, la marginata che ha una bordatura rosa lungo tutta la foglia, la saponaria, un tempo usata per fare sapone. I nuovi ibridi hanno foglie a margine dentellato colorato molto interessante per chi non coltiva solo piante naturali ma ama gli esperimenti umani. Molto interessante la dichotoma, albero maestoso che in questo periodo potete vedere in uno spot pubblicitario, sempre che non vi facciate distrarre da Jonny Depp che si toglie gli ori e li seppellisce fra i due esemplari.
Aloe erinacea
Aloe longistila
Aloe variegata in fiore
Aloe marginata fiore
Aloe ciliaris
Aloe marginata
Tutte sono di facile coltivazione. Come di norma per tutte le “grasse” occorre terriccio drenante, niente sottovasi che possano contenere acqua stagnante per lunghi periodi e concimazioni biologiche se si tengono per uso medicinale. I lupini macinati sono la soluzione migliore, sono a lenta cessione e non gonfiano le piante. Si riproducono da seme come tutte le piante ma il modo più rapido è prelevare i getti laterali. Noi li tagliamo con un coltello affilato quando hanno almeno un anno (non piccolissimi), li lasciamo asciugare all’ombra e all’aria per almeno una settimana, meglio due, e poi li piantiamo in terra asciutta e aspettiamo ancora 15 giorni prima di bagnare. In questo modo non occorrono fungicidi per evitare le muffe. Se il taglio è ben cicatrizzato la pianta rimane sana. NON OCCORRONO ORMONI RADICANTI, la natura sa fare benissimo il suo mestiere senza artifizi. La pianta contiene i suoi ormoni radicanti e butterà radici perché ha voglia di vivere. Unica difficoltà nella coltivazione potrebbe essere il cambio di stagione. Finito l’inverno, quando le riportiamo all’aperto, bisogna trattarle come persone di pelle chiara, proteggerle dal sole del mezzogiorno che le potrebbe ustionare irreparabilmente. Se non avete posti a mezz’ombra proteggetele coprendole con un tulle. Va benissimo quello che si acquista in metratura oppure quello delle confezioni regalo, in questo modo riciclerete anno dopo anno tessuti che di solito si buttano. Basta coprirle per una decina di giorni, riprenderanno colore e si abitueranno all’estate.
Per i collezionisti l’elenco potrebbe procedere per ore, elenco noioso per chi è arrivato fin qui inseguendo “solo” la pianta del miracolo. Potrete trovarne altre qui:
Mangiando solo Hoodia intanto che si rincorre selvaggina il dimagrimento è assicurato!
Navigando in internet ho scoperto che questa deliziosa pianta non è più conosciuta solo dai collezionisti, i suoi derivati sono in commercio carichi di promesse. “inibitore della fame”,”dimagrante”, “miracolosa”…
Ma abbiamo davvero bisogno di una pianta dimagrante? ci serve? siamo ancora convinti che un succo magico ci permetterà di raggiungere il peso che riteniamo giusto per noi?
Io coltivo piante per cui non sono assolutamente in grado di sapere se è vero o no che la pianta da senso di sazietà o se fa addirittura dimagrire, quello che posso valutare è la conoscenza della pianta che hanno i venditori di questo succo magico.
Una passeggiata nei siti di vendita “sbobbe varie” mi ha dimostrato che raccontano quel che non sanno:
“Hoodia cactus”
“hoodia famiglia hoodia”
“pianta cactus-simile”
se non conoscono la pianta che vendono perché dovrei credere a tutto il resto? Ma soprattutto perché dovrei affidare al potere taumaturgico di una pianta lo squilibrio di calorie della mia alimentazione?
Parlo di GUARIGIONE non per confusione linguistica ma perché conosco i disturbi alimentari molto bene.
Sono certa che i Boscimani dimagriscono mangiandola. La letteratura dice che si nutrono solo di questa pianta per vari giorni, quanto dura la caccia. Ora mi viene da pensare che se io, nativa della pianura padana, in assenza di hoodia, mangiassi solo tarassaco rincorrendo una lepre, il tarassaco sarebbe pianta dimagrante!
Il discorso DISTURBI ALIMENTARI è molto ampio, si sviluppa a livello fisico, spirituale ed emotivo.
Forse proprio perché così complesso e articolato muove un giro di affari impressionante.
Proviamo ad analizzare con occhio critico quanto stia a cuore a molti. Sforziamoci di guardare un attimo la tv con gli occhi aperti. Metà della pubblicità ci farà vedere cose da mangiare super raffinate (quindi “affamanti”) masticate da famiglie magre e felici, l’altra metà cose che sgonfieranno, rassoderanno e faranno dimagrire persone con espressioni tese e scontente. Nei programmi invece vedremo persone magre che “valgono” e persone grasse messe in ridicolo.
Nessuno metterebbe in ridicolo un diabetico, perché uno grasso è buffo?
Non c’è niente di buffo nel sovrappeso, non c’è niente da ridere nelle abbuffate e niente nelle tecniche messe in atto per mantenere il peso forma. Ho dato per scontato che chiunque cerchi “pianta dimagrante” online abbia disturbi alimentari, forse non è così. Ci sono vari modi per capirlo. Il più immediato è rivolgersi alla propria asl e attivarsi come si farebbe per qualsiasi altra MALATTIA.
questa è la pagina della mia città
Quando mi sono riconosciuta come malata mi è servito ricordare che le ferite dei bambini guariscono con disinfettante e cerotto, ma il processo di cicatrizzazione si innesca prima di tutto con un bacio e un abbraccio.
Noi possiamo cominciare a “disinfettare” la nostra malattia riconoscendola come tale.
Quando siamo ossessionati dal cibo siamo malati, non golosoni privi di volontà.
Mettiamo poi un cerotto alla nostra ferita evitando cibi spazzatura (che innescano fame perpetua) ma, prima di tutto e continuamente, prendiamoci cura di noi in toto, non ingoiando intrugli miracolosi ma costruendo il nostro miracolo.
Hoodia gordonii
Hoodia gordonii è una splendida Asclepiadacea, non è un cactus, è originaria dell’Africa del sud, il fiore a forma di parabolica ha cinque punte e puzza di carne marcia come tutti quelli della specie. Attira i mosconi da carne come impollinatori. Noi la coltiviamo in serra con minima invernale di + 6° nonostante molti testi raccomandino temperature maggiori. Credo sia importante l’assenza di umidità. E’ molto sensibile alla botrite per cui ha bisogno di terriccio ben drenante. https://it.wikipedia.org/wiki/Botrytis_cinerea L’ho vista spesso coltivata in substrati composti al 90° di materiale inerte proprio per evitare marciumi. Si riproduce da seme o per talea. I semi sono contenuti in un baccello che si apre a maturazione. Sono leggerissimi, in natura vengono dispersi dal vento per cui se desiderate raccoglierli, dovrete essere attentissimi nel seguire la maturazione, oppure occorrerà mettere una “cuffietta” di tulle sul baccello.
per approfondire il tema disturbi alimentari mi è servito questo splendido libro:
FAME di Allen Zadoff Corbaccio ed.
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Opuntia ficus indica, il nome nasce da un malinteso, dalla convinzione di Colombo di trovarsi nelle indie quando approdò alle Antille.
Da allora ha viaggiato molto, è arrivata praticamente ovunque grazie ai marinai che ne riempivano le stive per combattere lo scorbuto. Le foglie recise si conservano vive per mesi, buttano radici fioriscono e fruttificano anche fuori terra. Una vitale riserva di verdura fresca per chi andava per mare molto a lungo. Probabilmente ha colonizzato il mondo grazie alle pale avanzate “buttate” sulla riva alla fine della navigazione. Pianta generosa quanto ostile. Ci sono varietà con spinature veramente inavvicinabili e quelle con spinette che possono sembrare innocue hanno in realtà glochidi dolorosissimi. I glochidi sono spine sottili che finiscono come un amo da pesca, si infilano nella carne e la lacerano prima di uscirne.
Da noi si mangia soltanto il frutto, in Mexico si cucinano anche i nopales ossia le pale (foglie) giovani dell’annata.
Le possiamo gustare al ristorante messicano in salamoia o in umido.
Oppure prepariamole a casa con questa ricetta semplice:
In Emilia Romagna la maggior parte delle Opuntie soccombe al gelo, ne abbiamo avute alcune che sono vissute all’aperto per qualche anno diventando esemplari imponenti ma poi, nelle annate che chiamiamo eccezionali, sono gelate. Non credo che sia corretto definire “eccezionali” eventi che si ripetono con cadenza al massimo decennale ma, negli otto o nove anni tra un freddo e l’altro, ci sentiamo mediterranei e piantiamo in pieno campo opuntia olivi e oleandri dimenticando i danni che fa la nebbia sommata al freddo.
Coltiviamo all’aperto Opuntia scheeri, Opuntia compressa, Opuntia aciculata.
Siamo certi che resistono fino a -16° anche bagnatissime e coperte di neve perché le abbiamo sperimentate sul posto per più di 20 anni con minime da record.
Le Opuntie contano più di 300 specie, hanno le forme più svariate nelle sottospecie Cylindropuntia, Austrocylindropuntia e Corinopuntia. Le sottospecie hanno corpi diversissimi, da piatti a cilindrici, da minuscoli a quasi alberi ma hanno fiori identici.
Si possono moltiplicare per seme e per talea di foglia o articolo. Noi moltiplichiamo per talea perché è un metodo rapidissimo, conveniente quando si ha poco spazio. Peccato dover rinunciare al piacere del semenzaio che così tanto appaga l’istinto materno. Importante per la buona riuscita delle talee è lasciarle asciugare benissimo prima di interrarle. Si tagliano dalla pianta madre nel nodo di congiunzione, si appoggiano in piedi per il verso in cui saranno piantate e si lasciano asciugare anche per settimane, il tempo d’attesa varia a seconda del grado di succulenza della pianta e dalla stagione, indicativamente si aspetta fino a quando il taglio sarà diventato un callo asciutto. E’ necessario metterle in piedi perché gli ormoni radicanti, naturalmente presenti nella pianta, si concentrano dove sentono l’appoggio e potreste trovarvi con le radici sbucate in testa o di lato alla foglia. Preferibilmente si riproducono durante la bella stagione, dalla primavera fino a settembre, ma sono robustissime per cui, nel caso di articoli rotti in inverno, teneteli all’asciutto fuori terra, e in primavera saranno pronti a radicare.
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Ho scelto Euphorbia obesa fra centinaia di possibili “prima pianta di cui parlare”. Non a caso, naturalmente. Si tratta della grassoccia che mi ha fatto innamorare del genere succulente. Se ne stava sola in un grande vascone di gerani, forse fin lì c’era arrivata a piedi solo per incontrarmi 🙂 Era l’inizio degli anni 80, una vita fa.
Euphorbia obesa femmina
Di solito non palpeggio le piante ma feci un’eccezione. Le linee in rilievo ricordano il disegno Tartan dei tessuti scozzesi, solleticano i polpastrelli e danno la sensazione di accarezzare un animale, immagino così la pelle delle iguana (anche se non ne ho mai toccata una). Di solito hanno da otto a dieci coste, hanno disegni sempre diversi una dall’altra, sono semisfere perfette nella forma giovanile e poi si deformano in età avanzata, aumentando di gran lunga il loro fascino. La più vecchia che ho è alta una ventina di centimetri. Si tratta di un maschio che sparge polline dall’alto del suo ruolo di decano. Le piante sono tutte diverse ma tutte simili e in assenza di fiori è impossibile distinguerle, ma sono divise in maschi e femmine. Curioso vero? Questo significa che se volete avere la gioia di avere semi per tentare la riproduzione, dovrete acquistare almeno due piante in fiore o cartellinate per sesso. In piena fioritura la differenza è notevole. La pianta della foto sopra è una femmina, i fiori (più correttamente chiamati ciazi) dopo la fecondazione, produrranno frutti a tre logge che a maturazione “esploderanno” lanciando lontani i semi. In questo modo le piante si “spostano”, mandano i figli a colonizzare il terreno, anche lontano due metri dalla pianta madre. Non male per esseri che non strisciano e non camminano!
Piante di semplice coltivazione e di ormai facile reperimento. Necessita di una minima invernale di almeno 5 gradi sopra lo zero. Occorre maneggiarla con cautela perché contiene un lattice irritante a contatto con le mucose e gli occhi. Questo lattice è una caratteristica di molte euphorbiacee. Dalle più note, le Hevea si estraggono il caucciù e la gomma.