Vegano: non mangio nulla che abbia avuto una madre

Ho capito che dichiararsi vegano è esporsi, nostro malgrado, a critiche, giudizi e consigli. Se lo si dici al ristorante, il viso del cameriere cambia espressione, volgendo al “è arrivato il rompipalle, ti pareva che anche oggi non ce ne fosse uno?”se lo si confida a un’amica l’espressione vira al preoccupato e saremo sottoposti alla tiritera del rischio anemia, del “siamo animali onnivori e non possiamo vivere senza quel minimo di grammi di carne, meglio rossa, almeno bianca, almeno, per favore, in nome della nostra amicizia, una volta al mese”. Io l’ho dichiarato alla caposala prima del ricovero ospedaliero. Mi ha fruttato fagioli e ceci alternati mezzogiorno e cena ma anche un brodo di pollo, pennette al tonno e scorfano al forno. Non ho nemmeno protestato, mi sono chiesta se la dietista chiamata in causa per il mio menù, conoscesse soia, tofu, seitan ma in fondo mi sento irritante se non mi adeguo. In aereo un menù vegano non esiste,anche quello vegetariano è impegnativo perché il pezzo di pollo viene nascosto sotto la pasta, secondo loro “se non è in superfice non se ne accorge”.  Se poi ci azzardiamo, noi diversi, a dichiarare che se avessimo figli piccoli non li nutriremmo di animali e derivati animali come abbiamo fatto anni fa, davvero veniamo giudicati di brutto. Il veganismo dei bambini viene chiamato  imposizione, l’essere carnivori no. Il bimbo che non può, per scelta dei genitori, mangiare dolci fatti di panna, zucchero, farine raffinate e uova è “poverino”, alla faccia degli studi che riconoscono questi ingredienti nocivi alla salute.  Fino a prova contraria qualsiasi decisione riguardi un bimbo è un’imposizione dei genitori, dei maestri, della società. Un’imposizione che chiamiamo educazione, che facciamo a fin di bene, con amore, pensando sia la cosa giusta, ma a volte il tempo ha clamorosamente smentito o almeno cambiato il concetto di “cosa giusta”.

Da  emiliana non posso nemmeno pensare che la mia famiglia possa sopravvivere alle feste natalizie e pasquali senza anolini, per cui, ecco la mia versione vegan che vi consiglio di provare 🙂 🙂

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Anolini vegan, non nuocere

Preparate un ragù con cipolla carota e sedano tritati fini e soffritti per qualche minuto  in olio extravergine di oliva,
aggiungete doppio concentrato di pomodoro, seitan macinato, acqua. Io adotto la cottura lunga del ragù classico, almeno un paio d’ore. A fine cottura deve rimanere abbastanza liquido per “scottare” il pane.
Grattugiate pane casereccio (è importante perché col pane bianco si ha l’effetto vinavil) miscelatelo a spezie per ragù, pepe, sale, noce moscata e scottate il tutto con il liquido del ragù di seitan (solo il liquido senza pezzettini). Con la forchetta girate bene in modo da insaporire tutto il pane.
Aggiungete il ragù e mescolate il tutto. Una volta freddo deve avere la consistenza giusta per essere “pizzicato” con le dita e modellato a palline per essere appoggiato sulla pasta.
Preparare la sfoglia con acqua e farina, stendetela sottile, appoggiateci le palline alla giusta distanza per poterle poi tagliare col vostro stampo. Coprite con un altro foglio di pasta e tagliate gli anolini. La dimensione degli anolini la deciderà lo stampo che avete scelto. Il classico di Parma è 2,5 cm.
Non usando uova per la sfoglia si presenta il problema dell’apertura in pentola degli anolini. Per evitare questa brutta figura con gli ospiti, conviene spennellare la sfoglia intorno al ripieno con acqua prima di appoggiare la sfoglia superiore.
Sono ottimi cotti in brodo di verdura oppure in acqua e poi conditi con panna di soia e zafferano, oppure con panna di soia e noci macinate fini, con un ragù rosso di funghi oppure semplicemente con un filo di olio.

IMG-20151221-WA0000 BUON APPETITO!

se avete amici che mangiano solo carne non svelate nulla della ricetta, aggiungete  un cucchiaio di parmigiano grattugiato al condimento del loro piatto e…non si accorgeranno di nulla.

 

 

 

 

 

Le gazze decidono: ristrutturare ex-novo o trasferirsi?

A gennaio, quando fa così freddo che la primavera non si riesce ancora ad immaginarla, le gazze ladre scelgono dove far nascere i piccoli. I platani davanti casa sono altissimi per cui, da anni, sono i prescelti.  Cominciano controllando i danni del nido vecchio, quando le giornate sono ancora corte e buie. “Provano” il vecchio nido che sembra una fascina impigliata tra i rami più alti. Ci si accoccolano dentro, aggiustano intrecciando il bordo e il fondo, poi volano sull’albero di fianco, sembrano pensarci, valutare, parlarne. Per me che faccio birdwatching a chilometro zero osservandole dalla finestra, sembrano consultarsi sul fatto che possa reggere ancora al vento, se debba essere costruito ex-novo o se sia meglio trasferirsi sull’altro albero che ha l’ultima impalcatura di rami qualche centimetro più in quota.  Quest’anno hanno scelto di trasferirsi,  una ha portato i legni, l’altra li ha intrecciati. Hanno utilizzato anche  i rami del vecchio nido, dista pochi metri ma far passare tralci così lunghi in mezzo ai ramoscelli fitti delle chioma  sembra un impresa faticosissima. Sono certa che mi hanno vista col naso appoggiato al vetro, ma hanno visto anche che non ho ali e non si sono curate di me. Hanno spezzato col becco rametti sottili direttamente dagli alberi e portato pezzi ben più lunghi della loro apertura alare dai campi. Qualche volta far passare le “travi” di casa ha significato saltare di ramo in ramo cercando un varco e qualche volta la trave è caduta e si è dovuta recuperare ai piedi dell’albero, ricominciando da capo, con infinita pazienza. Per un paio di settimane hanno lavorato dalle prime  alle ultime luci del giorno.

La gazza non si interessa agli oggetti luccicanti

Poi…non s’è visto più nulla. Posso immaginare le uova dentro il nido e la mamma che le tiene al caldo e al riparo dalla pioggia. Durante la deposizione e la cova l’albero farà la sua parte mettendo le foglie. Quando i piccoli nasceranno il nido deve essere nascosto completamente. Se non fosse così sarebbero esposti ai predatori, corvi, falchetti, poiane. Le gazze ladre (Pica pica), predatrici di uova e pulcini sono esse stesse prede, in un circolo che ha ben poca dolcezza.

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Euphorbia obesa: maschio o femmina?

Ho scelto Euphorbia obesa  fra centinaia di possibili “prima pianta di cui parlare”. Non a caso, naturalmente. Si tratta della grassoccia che mi ha fatto innamorare del genere succulente. Se ne stava sola in un grande vascone di gerani, forse fin lì c’era arrivata a piedi solo per incontrarmi 🙂  Era l’inizio degli anni 80, una vita fa.

Euphorbia obesa
Euphorbia obesa femmina

Di solito non palpeggio le piante ma feci un’eccezione. Le linee in rilievo ricordano il disegno Tartan dei tessuti scozzesi, solleticano i polpastrelli e danno la sensazione di accarezzare un animale, immagino così la pelle delle iguana (anche se non ne ho mai toccata una). Di solito hanno da  otto a dieci coste, hanno disegni sempre diversi una dall’altra, sono semisfere perfette nella forma giovanile e poi si deformano in età avanzata, aumentando di gran lunga il loro fascino. La più vecchia che ho è alta una ventina di centimetri. Si tratta di un  maschio che sparge polline dall’alto del suo ruolo di decano.      Le piante sono tutte diverse ma tutte simili e in assenza di fiori è impossibile distinguerle, ma sono divise in maschi e femmine.       Curioso vero?  Questo significa che se volete avere la gioia di avere semi per tentare la riproduzione, dovrete acquistare almeno due piante in fiore o cartellinate per sesso. In piena fioritura la differenza è notevole. La pianta della foto sopra è una femmina, i fiori  (più correttamente chiamati ciazi)   dopo la fecondazione, produrranno frutti a tre logge che a maturazione “esploderanno” lanciando lontani i semi. In questo modo le piante si “spostano”, mandano i figli a colonizzare il terreno, anche lontano due metri dalla pianta madre. Non male per esseri che non strisciano e non camminano!

Piante di semplice coltivazione e di ormai facile reperimento. Necessita di una minima invernale di almeno 5 gradi  sopra lo zero.  Occorre maneggiarla con cautela perché contiene un lattice irritante a contatto con le mucose e gli occhi. Questo lattice è una caratteristica di molte euphorbiacee. Dalle più note, le Hevea si estraggono  il caucciù e la gomma.

potete trovare in vendita euphorbia obesa in diverse dimensioni sul nostro catalogo: http://www.castellarocactus.com/catalogo-euphorbiaceae/

 

se avete qualcosa da insegnarci o da chiederci lasciate un messaggio, la nostra curiosità è infinita e la nostra esperienza è a vostra disposizione!

sta bene ovunque: il prezzemolo

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Prezzemolo ossia Petroselinum sativum : bonièrbi in dialetto parmigiano.
Il nome spiega bene quanto fosse tenuta in considerazione quest’erbacea nella nostra cucina.  Voglio parlarne  prima di tutte le altre,  come pianta indispensabile. Credo occorra coltivare un po’ di tutto (anche solo in un piccolo vaso sul davanzale) per arricchire di sapori i nostri piatti, ritengo le “erbe nuove”, le cosiddette  esotiche,  portatrici di sorprese gustose, non voglio però dimenticare le trazioni più radicate, quelle che ci fanno tornare indietro, agli incontri conviviali in famiglia,  grazie al palato.

Indimenticabile la salsina fredda della domenica:
prezzemolo tritato a mezzaluna
uova sode passate tra i rebbi della forchetta                                              
un pizzico di sale e un filino d’olio d’oliva.                                                
Da gustare col lesso o anche  semplicemente su una fetta di pane.

Nella tradizione popolare era considerata pianta abortiva.

La coltivazione è davvero semplice, pianta biennale resistente al gelo, generosa nel raccolto anche in inverno,  se leggermente riparata.
In questa zona il termometro è arrivato eccezionalmente anche a -16 e il Petroselinum che aveva  perduto la parte aerea  ha regolarmente ricacciato in primavera.  Se volete un raccolto super (e chi non lo vuole?) sarà utile concimare  il terreno prima della semina con lupini. Sono biologici, a lenta cessione, rispettosi della nostra salute.
Miscelateli bene al terriccio, seminate, coprite i semi con un leggero strato di terra SENZA lupini. I passerotti ne sono ghiotti e se ne vedessero in superficie vi rivolterebbero tutto il vaso per cercarli.

Se volete anticipare la semina già in questi giorni, per “mettere avanti” i lavori primaverili è possibile farlo. In vaso procedete come sopra, una volta finita la semina pigiate la terra con le dita per assestarla, coprite la bocca del vaso con un vetro o con un pezzo di plastica rigida trasparente. Funzionerà come una serra. Mantenete umido il terriccio bagnando da sotto, cioè mettendo acqua nel sottovaso. Quando la terra è umida gettate l’acqua in eccesso e tornate a bagnare solo al bisogno. L’acqua stagnante è dannosa. Quando vedrete spuntare le prime foglie ricordate di togliere il vetro nelle ore calde e rimetterlo quando fa troppo freddo.  Il prezzemolo coltivato con passione avrà un sapore molto diverso dai mazzetti comprati recisi.

 

 

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